venerdì 31 agosto 2012

Stato-mafia-Colle:Negli States le intercettazioni sarebbero pubblicate




L'intervista a Alexander Stille, giornalista, insegna Giornalismo internazionale con un focus sulla politica alla Columbia University di New York

“I NASTRI? FOX NEWS SI ACCAMPEREBBE ALLA CASA BIANCA”

Stille: “Obama sarebbe costretto a pubblicare quelle bobine”

di Beatrice Borromeo

Se Obama venisse intercettato mentre parla con una persona coinvolta in indagini per vicende di mafia, avrebbe Fox News accampata nel giardino della Casa Bianca che gli chiederebbe 24 ore al giorno di disseppellire i cadaveri”.

Anche un osservatore per nulla sdraiato sulle posizioni del Fatto come Alexander Stille – professore di Giornalismo internazionale alla Columbia University – finisce per cedere alla pratica: “In America, con tutte le ovvie differenze del caso, la questione delle intercettazioni diventerebbe immediatamente un caso politico”.
Eppure Stille, sulla questione delle telefonate tra Giorgio Napolitano e l’ex ministro Nicola Mancino, di dubbi ne nutre parecchi. E non solo di natura giuridica: “È talmente importante arrivare a fondo nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia che mi pare discutibile passare mesi a dibattere su intercettazioni che, stando agli stessi pm di Palermo, non sono rilevanti”. La sintesi estrema della sua posizione è che un dibattito sulla forma (l’immunità invocata dal Capo dello Stato o la procedura seguita dai magistrati siciliani) sia ancora troppo prematura in Italia: “Dove, nella gerarchia dei problemi, Napolitano non è certo al vertice”. Se però tentiamo un’analogia con un Paese che, pur con tutti i suoi difetti, tende a privilegiare la trasparenza, la faccenda cambia.

Dunque, professor Stille,pensa che alla fine Obama cederebbe?

Credo di sì: da una parte verrebbe costretto a farlo dall’opinione pubblica, e dall’altra peserebbe la strategia politica. Un po’ come quando ha pubblicato il suo certificato di nascita, nonostante nessuno lo obbligasse: ora sono in pochi a credere ancora che la presidenza di Obama sia il risultato del grande complotto di un kenyota islamico.

Pensa che anche a Napolitano converrebbe rendere pubblico il contenuto delle telefonate?

Ci sono due questioni. La prima è che queste intercettazioni esistono e, di conseguenza, prima o poi usciranno.

Tanto vale che le sveli il Colle, dice?

Sì, anche per evitare che continuino speculazioni sul contenuto di quei dialoghi. D’altro canto c’è una questione di principio: le scelte di questa presidenza della Repubblica ricadranno sulla prossima: in questo senso non si può ragionare solo sulla convenienza politica.

Ecco un’altra profonda differenza culturale: mentre da noi le istituzioni tendono, da sempre, ad avvolgersi in una nube di segretezza, negli Stati Uniti l’idea è che bisogna rendere conto dell’operato ai cittadini.

Non c’è dubbio. Da noi il governo vuole pubblicare tutto, rendere noti dati e documenti. La sete di trasparenza a volte diventa persino eccessiva: ricordo Bill Clinton che è stato processato per il caso Lewinsky, con la Corte Suprema convinta che il caso non avrebbe influenzato la sua presidenza. In un contesto democratico comunque questo approccio è molto positivo, basti pensare al Watergate.
Lo scandalo che fece dimettere Richard Nixon non sarebbe mai emerso se la Casa Bianca non fosse stata messa sotto intercettazione.

Vero, ma la differenza c’è: intanto Nixon si fece auto intercettare.Perché secondo lei?

Pensava che avrebbe scritto la Storia e voleva che restassero documenti di quegli anni. Poi però se n’è dimenticato e la storia l’ha scritta in maniera diversa dal previsto.

Ancora una volta l’intenzione era quella di lasciare testimonianze, di far luce.

Sì, ma ci sono altri aspetti: quelle intercettazioni le richiese il Congresso, non i magistrati, che in America rispondono al governo.

S’immagina in Italia una magistratura controllata dal potere esecutivo?

Impossibile, si bloccherebbe ogni indagine. Detto questo l’autonomia della magistratura dovrebbe essere controbilanciata: da voi ci sono pm che, anche se non è questo il caso, inseguono la propria ombra.

Altre differenze tra Watergate e faccende italiane?

Qui esiste l’executive privilege, che garantisce la privacy del presidente Usa a meno che il contenuto del documento richiesto, che siano intercettazioni o altro, non sia centrale per l’indagine in corso.

Nel caso di Nixon la Corte Suprema votò all’unanimità contro il presidente, che consegnò i nastri.

Effettivamente a pesare, in quel caso, fu il contesto. Il furto andato male nel quartier generale democratico, da cui tutto partì, avvenne durante l’estate. Ma non successe nulla anche perché l’opinione pubblica voleva fortemente votare per Nixon. Dopo le elezioni le cose cambiarono: la gente volle risposte. Più dubbi venivano sollevati, più i cittadini pretendevano spiegazioni. Questo pesò moltissimo.

E gli italiani lo esercitano abbastanza questo contro-potere?

Dipende. L’intolleranza verso la corruzione, dopo la caduta del Muro, supportò moltissimo le indagini di Mani Pulite. Oggi c’è grande incertezza, dovuta al fatto che la gente è disorientata dalla crisi economica e vuole affidarsi a chi la sa gestire. Questo fatto credo prenda il sopravvento.

C’è però un aspetto pratico: la questione del Colle è facilmente cavalcabile da chi vuole riesumare la legge bavaglio contro le intercettazioni telefoniche.

Questo sarebbe molto grave. E si potrebbe evitare introducendo l’executive privilege per il presidente della Repubblica: una tutela in più per lui e per tutti i cittadini, contro ogni strumentalizzazione.



Non ci volevano le pressioni tramite l'inchiesta dei P.M. di Palermo e di un giornale come il Fq,che da tempo vogliono far chiarezza su quel tragico e inquietante momento storico della nostra Repubblica.

Infatti la macchina politica-mediatica sta proteggendo il Colle,poichè per l'intero paese sarebbe mortificante apprendere che le prove di questa trattativa esistono,di pari passo con la vecchia e attuale classe dirigente che potrebbe essere in buona misura spazzata via,la vecchia affermazione di un certo Andreotti,che la sa lunga sull'intreccio Stato-mafia affermò "il potere logora chi non ce l'ha",perderlo equivarrebbe a scoperchiare parecchi misteri su questo paese,e non solo legati alla criminalità organizzata.

&& S.I. &&

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Il moralismo della nuova balena bianca targata PD



A Pd nudi nel parco

di Massimo Gramellini

Appena le agenzie di stampa hanno battuto la notizia che un consigliere del Comune di Roma aveva paragonato la sua città a Gomorra, ho pensato che nella capitale fosse stato scoperto un traffico di camorristi. Quando poi si è capito che il consigliere alludeva alla Gomorra biblica, mi sono sfilate nella mente le immagini che avrebbero potuto abbondantemente giustificare il parallelismo: la sporcizia irredimibile delle strade, la prostituzione minorile che ha invaso le più importanti vie consolari, la corruzione nei palazzi del potere. Immaginate quindi la sorpresa nell’apprendere che per la sua intemerata apocalittica il politico romano aveva tratto spunto dall’atto d’amore di una coppietta. Un atto esagerato, d’accordo, qual è il denudarsi completamente alle sei di sera in un parco affollato come Villa Pamphili, per poi avvinghiarsi ai bordi di una fontana anziché scomparire in uno dei tanti cespugli che rendono quel luogo uno dei più straordinari motel a cielo aperto di Roma. Un comportamento abbastanza sconveniente da suscitare l’imbarazzo dei passanti e l’intervento della polizia, ma non tale da giustificare un gemellaggio con la città simbolo di perdizione.

Le sorprese non erano ancora finite. L’autore del paragone, Antonio Stampete, non è iscritto alla confraternita dei verginoni scalzi, ma al Pd. Che in teoria, molto in teoria, sarebbe quel partito che si rivolge soprattutto ai laici o comunque a persone a cui l’amore piace farlo e lasciarlo fare senza tabù, magari soltanto con un pizzico di privacy in più rispetto ai frequentatori di parchi cittadini e di ville di presidenti del Consiglio in carica.



Il tal Stampete del Pd non sarà il modello-campione del partito che fu di Berlinguer,ma che da anni lo stesso partito rincorra il voto moderato per diventare sempre di più simile alla DC,apparentandosi con piercasinando casini non è un segreto,lo stile bacchettone e moralista sarà sempre più evidente,tranne chiudere entrambi gli occhi sulle mazzette del tal Penati in Lombardia...

&& S.I. &&

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giovedì 30 agosto 2012

Ma andò vai se facebook non ce l'hai




di Andrea Aparo

Alto. Naso importante. Capelli rossicci. Basettoni stile 1970. Anni: 35. Nome: Cameron Marlow. Professione: Responsabile del DataScienceTeam di un’azienda recentemente quotata in borsa di nome Facebook.

Il team ha 12 membri, anzi ricercatori. Se ne prevede il raddoppio nel corso del presente anno. Rasentano il genio, sono semplicemente eccellenti nella matematica applicata, programmazione informatica, banche dati e … sociologia.

Il loro terreno di gioco, anzi la loro piscina, è l’oceano dei dati in possesso di Facebook. Dati personali. Vostri perché io da Facebook ne sono uscito. Dati che Facebook possiede perché ha trovato molti modi e molto furbi per raccoglierli mentre gli utenti, ingenuamente, socializzano.

In fondo cosa c’è di male a compilare il proprio profilo. Età, genere, indirizzo di posta elettronica: nulla di particolarmente rilevante. C’è poi chi dice se è singolo o accompagnato, se la sua relazione è felice, problematica o sconsolata; il numero del cellulare. Lo scorso autunno Facebook ha riprogettato l’interfaccia utente –come suona bene, neutra e innocua se detta così- introducendo la linea temporale, la Timeline. Di fatto ha invitato gli utenti di aggiungere la loro storia: dove hanno studiato, lavorato, abitato, passato del tempo, quali i viaggi fatti, le esperienze, le memorie. I messaggi e le foto condivise in rete vengono “taggate” (orribileneologismo, povero italiano!!) dandone la localizzazione esatta. Per non parlare dell’invenzione, che provoca alto tasso di dipendenza, del “like” ovvero “piace”. Appare in apps e siti al di fuori di Facebook e consente alle persone di esprimere con un click il loro interesse per una marca, un prodotto, un pezzo di contenuto digitale. Su certi siti e in certe apps, quando leggete un articolo o sentite un brano musicale, l’informazione viene trasmessa a Facebook senza che si debba cliccare (bello “cliccare”!!! L’Accademia della Crusca ringrazia…) sul “like”.

Durante i primi cinque mesi di uso di questa funzione, Facebook ha catalogato più di cinque miliardi di “casi”. Prendete questa tipologia d’informazioni, combinatela con la mappa delle connessioni sociali dei singoli utenti di Facebook e otterrete una registrazione molto, molto accurata, della loro vita, preferenze, gusti, disgusti, connessioni e interazioni. Mai prima si sono avuti a disposizione così tanti dati di così elevata qualità su come gli umani comunicano fra loro. Facebook è un microscopio digitale che permette di osservare i comportamenti sociali a una scala prima impensabile e allo stesso tempo permette di fare esperimenti coinvolgendo in tempo reale milioni di utenti, magari senza dirglielo. Un esempio.

Nel 1967 venne svolto uno studio, coinvolgendo un paio di centinaia di persone, che portò alla conclusione che il massimo grado di separazione fra due qualsivoglia abitanti del nostro pianeta è pari a sei. Posso collegarmi a una qualsivoglia altra persona usando al massimo sei intermediari, me compreso. Nel Maggio 2011, l’esercizio venne ripetuto. Collaborazione con l’Università di Milano. Venne coinvolto il 10 per cento della popolazione mondiale: 721 milioni di utenti Facebook. Vennero analizzate 69 miliardi di connessioni fra “amici”. Il mondo è più piccolo di quanto si pensasse: bastano quattro passaggi per connettersi con non importa chi. Recita la conclusione del rapporto tecnico: “Considerando una qualsiasi altra persona al mondo, un amico del vostro amico conosce un amico del suo amico”. “Suo” è la qualunque altra persona di cui sopra.

Altro esempio. Un collaboratore di Marlow, Adam Kramer, ha sviluppato un modo per calcolare la “Felicità Nazionale Lorda” di un qualsiasi paese. Basta, sapendolo fare e il team di Facebook lo sa fare, andare a cercare la frequenza e la localizzazione di parole e frasi che significano emozioni positive o negative. I dati in possesso di Facebook, opportunamente elaborati, permettono di monitorare in modo semplice e accurato, le tendenze sociali in atto. Economisti, altri ricercatori e politici svegli ringraziano.

Google e gli altri motori di ricerca fanno soldi con gli annunci pubblicitari mirati perché la ricerca che uno svolge è espressione compiuta dell’interesse che uno ha. Facebook potrebbe essere in grado di indovinare che cosa uno desidera o non desidera prima ancora che questo qualcuno se ne renda esplicitamente conto.

Inutile nascondersi dietro un dito. Ebbene sì, Facebook è in grado di condizionare i comportamenti. Altro esempio. Aprile 2012. Probabilmente influenzato dalla conversazione avuta a cena con la sua ragazza, ora moglie, studentessa di medicina, Zuckerberg decide di usare Facebook, o meglio l’influenza sociale che Facebook è in grado di esercitare, per aumentare la donazione degli organi. Agli utenti viene data la possibilità di cliccare uno scatolotto sulle loro pagine di Timeline per condividere l’essere donatori di organi, comunicandolo agli amici. Un innocente servizio aggiuntivo. Innocente ma molto efficace: la pressione sociale così esercitata ha fatto aumentare in 44 Stati la disponibilità alla donazione di organi di 23 volte.

Facebook possiede milioni di gigabytes di informazioni. Ha sviluppato strumenti e tecniche per gestire volumi giganteschi di dati. Certo, lo scopo primario del team di Marlow è dare supporto al benessere delle perone che danno a Facebook i loro dati. Vogliono aiutare il genere umano a comprendere meglio il genereumano. Sono in sintonia con Zuckerberg quando afferma che la visione di Facebook è migliorare come il mondo comunica.

Già… Tutti questi miglioramenti a cosa porteranno? Non chiedetelo a Marlow. Non ha risposta.

“Il numero potenziale di cose” –afferma Marlow- “che potremmo chiedere ai dati di Facebook è enorme”.

Già… per farci cosa, poi, delle risposte?”



L'adesione a facebook,una moda diventata globale,se non si fa parte del social network più conosciuto al mondo è da considerare per molti di essi,una terribile esclusione sociale.
Dei dati sensibili resi pubblici e quindi trattabili,penso che la maggior parte degli iscritti ne ignorino le conseguenze,e un'altra parte pur essendone consci pagano pegno pur di far parte della kermesse,un minestrone gigantesco in cui ci si può sentire una piccolissima particella del sistema,quasi indefinibili e impercettibili,al contrario molte società esercitano uno screening giornaliero per comprendere cosa vendere e pubblicizzare,come un buco della serratura in cui osservare con il beneplacito degli iscritti.Dopo l'affermazione della società dell'immagine,si è aggiunta anche quella della privacy diventata pubblica volontariamente.

&& S.I. &&

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Grillo-Benigni:Chi straparla e chi strizza l'occhio a prescindere



Pinocchio e il Gabibbo

di Massimo Gramellini

A Benigni che alla festa del Pd gli faceva bonariamente il verso («Lui ti tende la mano, è fatto così. A me ha detto: come stai vecchio cadavere putrefatto salma piduista?»), Grillo ha risposto senza un sorriso ma con la solita, banale e - questa sì - tipicamente fascista litania del «chi paga?». In effetti Benigni si fa pagare i suoi spettacoli dagli spettatori, esattamente come Grillo. Coltivare idee di sinistra, o comunque idee, non costituisce ancora una ragione per lavorare gratis.

In questa disputa politica surreale di fine estate, Benigni si muove con la leggerezza di un cartone animato che ha studiato abbastanza per diffidare dei fanatici ma in fondo anche per compatirli. Grillo invece ha smarrito la levità corrosiva degli esordi, sostituendola con una maschera soffocante di livore. Il suo brontolio cupo e monocorde gli permetterà di raccogliere voti fra le macerie di un’Italia disperata, ma gli ha sottratto quell’energia positiva che sola consente di rimettere insieme le persone e le cose. Di ricostruire. Se Benigni è Pinocchio, e ne condivide le ingenuità e le furbizie, i fallimenti e le rimonte, Grillo non è il Grillo Parlante ma un Gabibbo barbuto che si è spogliato dell’autoironia per indossare i paramenti del vescovo della Rete. Sprezzante, assertivo, inutilmente volgare, unico illuminato in un mondo di anime perse e oscuri complotti. Ciò detto, lo considero innocente. Da una vita recita testi non suoi. Il dramma è che da troppo tempo a scriverglieli non sono più Antonio Ricci e Michele Serra, ma Casaleggio, il guru di Cinque Stelle. Uno che basta guardarlo in foto una volta per averne paura per sempre.



Non fa quasi una piega il post di oggi,tranne trarre dalle apparenze delle paure verso un personaggio,se Grillo straparla a giorni alterni,anche Benigni a volte non scherza,ho letto la sua benedizione all'apparentamento con l'Udc di piercasinando,se dovesse essere questa la coalizione che ci governerà nella prossima legislatura,POVERA ITALIA....

&& S.I. &&

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mercoledì 29 agosto 2012

La politica di destra e di sinistra di questi tempi


Interviste di Piero Ricca


“Uomo da marciapiede” ritorna per le vie di Milano con una ‘provocazione’ ideologica: Destra e Sinistra sono categorie ancora utili a decifrare la politica italiana, e quale significato hanno oggi per gli elettori? Nella maggior parte dei casi, gli intervistati dichiarano di non “sentire” più tali appartenenze, né di individuarle nel sistema dei partiti: troppo desolante lo spettacolo offerto dal ceto politico negli ultimi decenni. “Sono sparite le idee, sopravvivono solo gli interessi, l’attaccamento alla poltrona, la ricerca del potere”, questo è il commento più diffuso. Per molti tuttavia il superamento del conflitto fra modelli alternativi di società è un fatto positivo, che apre spazio al confronto sulle scelte concrete; per altri è solo il segnale della sudditanza nei confronti del potere economico. “Gli ideali politici oggi non sono rappresentati degnamente, ma devono rinascere”, affermano alcuni. “No, si può fare politica senza visioni ideologiche, seguendo il buon senso, con persone e idee nuove, slegate dai vecchi apparati”, ribattono altri di Piero Ricca, riprese e montaggio di Francesca Martelli E voi come la pensate? Dite la vostra nei commenti e votando la risposta che vi convince di più.

Se volete partecipare al sondaggio

CLICK



 

Dalla globalizzazione alla democrazia bancaria-finanziaria,direi sono le motivazioni della scomparsa della politica conosciuta fino a qualche decennio fa,ora esistono comitati d'affari che devono tenere in equilibrio i conti,peccato che questo paese tra evasione fiscale e corruzione,sarà condannato ad essere costantemente in difficoltà. Non ho idea quale sarà la politica tra molti anni,in questo momento contingente penso che saranno i movimenti a fare la differenza e la scelta per gli elettori.

&& S.I.&&

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Con tutte quelle bollicine..


Tasse senza gas

di Massimo Gramellini

Ma quanto è ipocrita tassare le bevande gasate, contrabbandando la cannuccia assetata dello Stato per espressione di moralità. Non mi scandalizza che il governo utilizzi la leva fiscale per distillare ai cittadini qualche gocciolina di educazione: se non civica e sentimentale, entrambe drammaticamente latitanti nelle famiglie, almeno alimentare. Mi irrita piuttosto che usi quella leva al contrario. Un ministro della Salute che ha davvero a cuore la salute dei suoi amministrati non tassa le bibite che fanno male. Detassa quelle che fanno bene.

Per convincermi a trarre felicità da una minestra di farro e da un succo di mirtillo, o quantomeno a sperimentarne l’eventualità, la soluzione più semplice e anche più ovvia consiste nel rendermeli meno costosi di un hamburger a tre strati o di una bibita zuccherata. Invece qualsiasi governo, tecnico o politico, di destra o di sinistra, preferirà sempre tassare il vizio che detassare la virtù. E questo perché della virtù, reale o presunta, ai governanti non importa un fico. A loro interessa rastrellare soldi per continuare a mantenere il carrozzone di famigli che è andato stratificandosi nei decenni, fino a comporre la più elefantiaca, corrotta e intangibile burocrazia della storia umana. Sarebbe onesto, ma soprattutto adulto, quell’amministratore pubblico che avesse il coraggio di ammetterlo, anziché escogitare sempre nuovi espedienti, addirittura etici, per placare la sua sete inestinguibile di liquidità.




Con la pressione fiscale e la tassazione italiana,rastrellata ai soliti noti sia ben chiaro,potremmo avere una sanità a 4/5 stelle,invece buona parte delle risorse vanno nelle varie truffe e mazzette legate alle forniture ospedaliere,e se serve una visita urgente tocca sganciare 150 euro al luminare di turno,e le bollicine potrebbero rimanere intatte e senza aggravi.

&& S.I. &&

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Tutte le palle sparate dal giullare di corte "Giuliano Ferrara"




Se li conosci li eviti

di Marco Travaglio

Commentando nel web il dibattito di lunedì a La7 sulla trattativa Stato-mafia, molti rimproverano a Mentana di aver invitato Ferrara. Non sono d’accordo. Intanto va apprezzata la perfidia di Mentana, che ha invitato Ferrara a un programma intitolato Bersaglio mobile. E poi Ferrara, specie quando non dialoga con se stesso e veste come Bagonghi, va chiamato spesso, possibilmente sempre. Nessuno meglio di lui riassume, con una franchezza che sconfina nella spudoratezza, come ragiona (si fa per dire) il Potere in Italia. E dimostra, anche fisiognomicamente, la differenza fra i giornalisti che raccontano i fatti e quelli che programmaticamente li ignorano per non disturbare le proprie certezze malate. Infatti s’è subito trasformato in una gigantesca macchinetta spara-palle, tipo quelle usate per allenare i tennisti: ne sparava così tante che era impossibile respingerle tutte. “Andreotti è stato assolto” (prescritto per “il reato commesso fino al 1980”). “La sentenza Iacoviello della Cassazione ha smentito che Dell’Utri sia mafioso” (Iacoviello è un sostituto Pg e non fa sentenze: la sentenza conferma che Dell’Utri è colpevole per il lungo periodo trascorso al servizio di B., mentre occorre un nuovo appello per provare che lo fosse anche nei tre anni al servizio di Rapisarda). “Anche Falcone trattò con la mafia, vedi Buscetta” (Falcone convinse Buscetta a collaborare non per trattare con la mafia, ma per processarla). “La mafia è stata sconfitta” (senza parole). “L’agenda rossa di Borsellino è una minchiata” (infatti l’han fatta sparire). “L’inchiesta sulla trattativa non è condivisa nemmeno dal procuratore Messineo” (il “visto” del capo non è previsto sull’atto di conclusione delle indagini; lo è invece sulle richieste di rinvio a giudizio ed è prontamente arrivato). “Il pm Di Matteo ha svelato a Repubblica le intercettazioni di Napolitano per ricattarlo” (le svelò Panorama). “Ingroia chiede il segreto di Stato perché alle accuse non crede neanche lui” (Ingroia chiede a chi giustifica la trattativa in nome della ragion di Stato di dire tutto ciò che sa e sfida i politici, se la condividono, a fare una legge che liceizzi ex post quella condotta criminale). “Ingroia fugge in Guatemala per non sostenere l’accusa al processo” (falso: l’invito dell’Onu per l’incarico in Guatemala risale a oltre un anno, e l’accusa ai processi la sostengono di solito i sostituti, non gli aggiunti). Molto divertente il teorema secondo cui i pm di Palermo indagano sulla trattativa non perché sia una notizia di reato, su cui la Costituzione impone di indagare, ma “per fare carriera”: com’è noto, in Italia, il miglior modo di fare carriera è mettere sotto processo politici di destra e di sinistra più qualche ufficiale del Ros, e ritrovarsi subito dopo alle calcagna Quirinale, Avvocatura dello Stato, Consulta, governo, Parlamento, Pg della Cassazione, Csm, giornaloni e tg a reti unificate. Un carrierone. Molto opportuno anche l’invito di Mentana a Macaluso, che faticava a comprendere la differenza fra un giornale libero e un giornale di partito, scattava come la rana di Galvani solo alla parola “Napolitano”, scambiava per “attacchi al Quirinale” qualunque critica all’inquilino pro tempore ma poi mostrava gravi lacune sul conflitto di attribuzioni (l’amato Presidente non sostiene affatto che “nella Costituzione c’è un vuoto da colmare”, ma che i pm di Palermo han violato le sue presunte prerogative costituzionali). Era presente, oltre a Di Pietro, un deputato del Pd, tal Boccia, accomunato agli altri due dall’assoluta ignoranza sul tema di cui si parlava: appena si tentava di spiegargli la trattativa, sorrideva beotamente, più divertito ancora di Ferrara. Ma è stato giusto invitare anche lui. Altrimenti non si capirebbe cosa sta diventando il Pd, perché si allea con Casini, perché molti elettori hanno l’ulcera perforata, perché Vendola ha vinto due primarie su due in Puglia e perché non basta essere giovani per essere meglio dei vecchi.



Chi ha avuto la costanza di seguire l'intera puntata,ha potuto prendere atto di quanta beata ignoranza sia intrisa la politica e il giornalismo legato al potere.

Della macchietta obesa già sapevamo,non avrebbe potuto esercitare una migliore performance,uno dei migliori giullari di corte ha manifestato tutta la sua ignoranza-arroganza,mancava solo il nevrastenico critico d'arte,e la puntata avrebbe fatto bingo in negativo.

Dell'anziano Macaluso che dire,competente fino a un certo punto,la sua presunta onestà intellettuale è legata a filo diretto ai compagni di partito,direi una visione del tutto parziale e molto poco oggettiva dei fatti,escludere la trattativa Stato-mafia ormai risulta patetico.

Il fritto misto più volte enunciato dal tal Boccia,giovane esponente democratico,aiuta a comprendere la qualità dei politici intorno al Pd,capaci di accusare di fascismo chi non la pensa come loro,e di insabbiare o perlomeno di minimizzare qualsiasi accusa rivolta al Colle.

Le 130mila firme raccolte a cavallo di ferragosto dal Fatto quotidiano,sono la verifica sostanziale di ciò che pensa buona parte della base elettorale,a proposito delle inchieste e dulcis in fundo,dell'apparente apparentamento con piercasinando casini...

Mamma mia,mi viene la nausea al solo pensiero di dover essere governati da costoro nella prossima legislatura.

Povera Italia!

&& S.I. &&

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martedì 28 agosto 2012

Gli insulti di Ferrara un onore per i magistrati


L'intera puntata di Bersaglio mobile condotta da Mentana





Non è semplice tenere fermo il bersaglio, e per l’appunto, ieri sera su La7, il programma di Enrico Mentana s’intitolava “Bersaglio Mobile”.

Al centro c’è Giorgio Napolitano, la richiesta del Quirinale di sollevare davanti alla Consulta il conflitto d’attribuzione contro la Procura di Palermo perché conserva le telefonate (intercettazioni indirette) del Capo dello Stato con l’ex presidente del Senato, Nicola Mancino, coinvolto nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia che conducono i magistrati siciliani.

Quello è il centro, poi s’arriva ovunque. Mentana evidenzia il punto finale di un confronto accesso tra giornalisti e giornalisti, politici e politici, osservatori e commentatori: “Le due anime della sinistra, prima sulle stesse posizioni, adesso litigano. E qualcuno eccepisce sulla collocazione degli avversari”, dice citando Ezio Mauro (Repubblica) che colloca Il Fatto a destra.

MENTANA divide la trasmissione in quattro angoli: Marco Travaglio e Antonio Di Pietro da una parte; Giuliano Ferrara ed Emanuele Macaluso (per la sua cinquantennale sintonia con Napolitano) dall’altra. Da Reggio Emilia, c’è Francesco Boccia (Pd) che s’infila nel duello Bersani-Grillo: “È un milionario in pantofole, il comico genovese”.

Per tornare ai toni che ci si aspetta, basta ascoltare Ferrara: “La rissa lascia il tempo che trova. È tutto banale. In estate fa caldo, i magistrati vogliono fare carriera in politica, vogliono fondare i partiti e siamo sottomessi a questa canicola. Questa inchiesta di Palermo non sta in piedi. Non c’è stata una trattativa. In tribunale è finito Mario Mori, un generale dei carabinieri che ha arrestato Totò Riina. A Palermo dicono tante minchiate. Questa è una puttanata inverosimile. Ingroia – spiega il direttore del Foglio – ha insistito per portare avanti questo suo teorema, perché adesso vuole andare in Guatemala? Lui non vuole la verità, pensa a farsi notare sui media. I magistrati sono fottutissimi carrieristi”. A queste parole, Di Pietro minaccia di abbandonare la trasmissione: “Questa è diffamazione, io non partecipo”.

Per non abbassare il livello dello scontro, Mentana dà la linea a Torino, a Travaglio: “Non si fronteggiano garantismo e giustizialismo, in questa vicenda sono in palio le verità sugli anni delle stragi, sulla morte di Borsellino e l’Agenda rossa, un documento importantissimo. In questa vicenda è in gioco il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, un argomento che stava a cuore al centrosinistra quando al potere c’era Berlusconi. È in gioco la convinzione della classe dirigente di avere sempre l’impunità e, infine, è in gioco il bavaglio per impedire di fare le intercettazioni e permettere ai magistrati di indagare.

LA TRATTATIVA c’è stata – aggiunge il vicedirettore del Fatto – perché lo dicono delle sentenze definitive e ci sono dei documenti che lo dimostrano. Ingroia non ha mai detto di voler il segreto di Stato, voleva sapere se la Trattativa è stata fatta per una ragione di Stato, ma va detto chi e come e perché l’ha fatto”. Non aveva ancora parlato, allora chiede di intervenire Macaluso: “Ingroia sul Corriere dice: ‘Non strumentalizzate gli attacchi a Napolitano’. Lui dice che il presidente della Repubblica è stato il perno fondamentale per la garanzie democratiche di questo Paese. Chi è che strumentalizza Napolitano? Ecco, Travaglio. Il presidente non ha fatto nulla di male, si è rivolto alla Consulta per un vuoto costituzionale. Aspettiamo la decisione (Ma Travaglio gli ricorda che il Quirinale aveva accusato la Procura di aver violato l’articolo 90 della Costituzione, ndr). Questa di dire che – aggiunge lo storico esponente del Pci – ci sia qualcuno che ostacola la verità è una campagna di stampa. Tanti giuristi dicono che sia giusto che la Corte debba fare questo. E questi giuristi sul Fatto vengono definiti di corte. Chi non la pensa come Travaglio e il Fatto è di corte. La questione è che bisogna rispettare lo Stato di diritto e le sue regole: i conflitti di attribuzione li risolve la Corte costituzionale. Il problema è politico: nel centrosinistra c’è il conflitto senza strumentalizzare la Procura. Tutto è accaduto con la nascita del governo Monti: ha iniziato proprio Di Pietro! E ancora Grillo, che dà dell’assassino”. Finisce Macaluso, continua Boccia. Insieme, a difendere Napolitano.



Fossi al posto dei Magistrati,lo considererei un onore l'essere etichettati in quel modo da uno dei migliori lacchè di corte.

Come lo schizzoide critico d'arte,sanno sempre come schierarsi per compiacere chi li foraggia....

&& S.I. &&

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lunedì 27 agosto 2012

Tutte le scorte e le cazzate dei politici





La scorta di Schifani non è uno spreco: rischia di ferirsi mentre si pettina.

di Alessandro Robecchi

Polemiche sulle scorte: alcune migliaia di uomini si alzano ogni mattina per proteggere alcuni uomini da cui dovremmo essere protetti noi. Lavori usuranti: la scorta di Bruno Vespa dorme nel plastico di un albergo. Come si può definire uno spreco di soldi pubblici la scorta a Vittorio Sgarbi? E’ l’unico modo per sapere sempre dov’è! Il volontariato si mobilita, 390.000 esodati chiedono: “La Fornero possiamo scortarla noi?”
Brutte notizie: secondo le ultime statistiche soltanto un italiano su tre lavora stabilmente. Buone notizie: uno di quei tre fa la scorta a qualcuno, politico, ex politico, giornalista, e persino alla Santanché. “Il settore scorte è in espansione – dice un esperto di Moody’s – ed è l’unico settore che ancora tira in Italia”. In molti casi si tratta di lavori umilianti e logoranti. Qualche giorno fa, per esempio, sono stati definitivamente liberati gli otto uomini di scorta a Roberto Calderoli, e le loro testimonianze sono agghiaccianti: “Otto ore al giorno in compagnia di Calderoli – dice uno di loro – possono causare danni cerebrali irreversibili, guardate come è conciato Umberto Bossi!”. Così, al costo esorbitante delle scorte (oltre un miliardo di euro l’anno), si aggiunge quello della riabilitazione a fine servizio. Chi ha fatto la scorta a Sgarbi, per esempio, ha sentito più cazzate in due giorni che un intero staff di psichiatri in trent’anni di carriera, e sono cose che lasciano il segno. “Si tratta di una sindrome post traumatica simile a quella dei soldati in Iraq – dicono al Viminale –. Abbiamo visto uomini grandi e grossi tremare come foglie e piangere a dirotto e poi abbiamo capito il loro dramma: facevano la scorta a Sallusti e alla Santanché, alcuni abbiamo dovuto abbatterli”.
Dopo il caso di Gianfranco Fini, la cui scorta occupava da mesi quindici alberghi di Orbetello e centri vicini, la questione è diventata un caso nazionale. Il presidente del Senato Schifani, per esempio, ha venti uomini di scorta, ma secondo fonti ufficiali non si tratta di una protezione esagerata: “Il presidente Schifani corre rischi enormi: potrebbe slogarsi una caviglia o tagliarsi un dito mentre affetta le carote, o persino ferirsi in testa mentre si pettina, e noi vigiliamo in modo ferreo su questi possibili attentati alla seconda carica dello Stato”. Sulla questione delle scorte, comunque, si fa troppa facile demagogia. Ristoratori, albergatori, gestori di stabilimenti balneari e di baite in montagna si ribellano alla riduzione delle scorte. “Ma lo sa – dice accorato un oste di Ladispoli – che quando viene qui un politico prenota sessanta coperti e ventidue stanze? Volete rovinarci?”. :-))



Se vogliamo vivere con filosofia,tocca riuscire a vedere le cose in questo modo,fossimo come certi fuori di testa americani,ci sarebbe una strage ogni ora....

&& S.I. &&

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domenica 26 agosto 2012

L'ultimo allarme Pd:Sono tornati i fasci


bbb

Disordine, compagni

di Marco Travaglio

L’elettore del Pd (ce ne sono ancora tanti, anche fra i nostri lettori) deve avere qualche colpa atavica da espiare, qualche peccato originale da scontare. Insomma è nato per soffrire, o è votato al martirio. A novembre stava quasi per esultare alla caduta di B.: “Che bello, ora si vota e vinciamo noi”. Ma dai vertici fu subito avvertito che non era il momento di esultare, né tantomeno di votare: siccome B. non aveva più la maggioranza, bisognava entrare in maggioranza con B.. Però Monti dovrà ascoltarci, soccmel, urlò Bersani: anticorruzione, antievasione, patrimoniale, asta per le frequenze tv, politiche sociali, basta bavagli alla stampa e guerra ai pm. Risultato: niente di tutto questo, perché B. non vuole. Anzi ora il bavaglio lo chiedono e la guerra ai pm la fanno Napolitano, Violante e Scalfari. Ma come, i pm di Palermo non erano dei benemeriti che rischiano la pelle per indagare su mafia, politica e trattative? Contrordine, compagni. L’elettore del Pd legge Repubblica e scopre che i pm congiurano contro il Colle, lo intercettano illegalmente, calpestano le sue prerogative a suon di “abusi” e in vent’anni non han combinato niente. Legge Violante, e scopre che Ingroia “fa politica” e dà fiato al “populismo giudiziario” che vuole “abbattere Napolitano e Monti”. Ma - si domanda disorientato il povero elettore - non s’era detto, ai tempi del caso Moro e del caso Cirillo, che è una cosa brutta trattare coi terroristi e i mafiosi? Conserva ancora il libretto distribuito dall’Unità diretta da D’Alema, grondante indignazione perché la Dc aveva usato i servizi segreti per trattare con Cutolo e far liberare Cirillo dalle Br dietro congruo riscatto: s’intitolava, guarda un po’, “La trattativa”, sottotitolo “L’ordinanza del giudice Alemi sul caso Cirillo: Brigate rosse, camorra, ministri Dc, servizi segreti”. Ora apre l’Unità e trova il compagno senatore Pellegrino che, anziché denunciare la trattativa di “Cosa Nostra, carabinieri, ministri Dc, servizi segreti”, la giustifica: serviva a “rallentare temporaneamente l’applicazione della norma (il 41-bis) per avere tempo di stroncare i corleonesi... Un arretramento tattico che non intaccava la strategia di fondo, ma era funzionale ad assicurarne il successo”. E pazienza se intanto, a causa della trattativa, ci han lasciato la pelle Borsellino, gli uomini della scorta e nel ‘93 una decina di cittadini inermi a Firenze e Milano. Apre Repubblica, nella speranza di trovare almeno lì la linea dura, come ai tempi di Moro. Invece no, sorpresa: “Ci sarebbe da distinguere – scrive Scalfari - tra trattativa e trattativa. Quando è in corso una guerra la trattativa tra le parti è pressoché inevitabile per limitare i danni. Si tratta per seppellire i morti, per curare i feriti, per scambiare ostaggi”. L’elettore non vede l’ora di votare per riportare al governo il centrosinistra, ma gli spiegano che il centrosinistra non si porta più: l’alleato è Casini, quello che governò con B. fino al 2006 e portò in Parlamento galantuomini come Cuffaro (infatti si va con lui anche in Sicilia). Di Pietro invece, non avendo mai governato con B., è un “populista di destra”, anzi “fascista”, e non va più bene. Infatti è l’unico, con Landini, escluso dalla festa Pd, dove però l’elettore può arraparsi con Fitto, Sallusti, persino Latorre e Menichini. Stremato, l’elettore domanda sommesso: posso almeno prendere un po’ per il culo il Cainano, che medita il ritorno con Grande Italia ma ogni tanto si scorda di asfaltarsi il capino? Eh no: Ezio Mauro, su Repubblica, lo ammonisce ad abbandonare le “calandrinate” sui “cognomi e i difetti fisici”, tipiche del “Borghese degli anni più torvi” e della “destra peggiore”, pena l’esclusione dal “campo democratico”. A questo punto l’elettore scoppia in lacrime ed esclama: “Ma cosa ho fatto per meritare tutti questi colpi bassi?”. Ma accanto a lui si rialza implacabile il ditino: “Bassi non si dice, fascista che non sei altro: al massimo, diversamente alti”.



Le personali reazioni a tanta scemenza

Può tirare fuori qualsiasi tesi e può portare acqua al suo mulino come meglio crede,ha appoggiato senza fiatare la "macelleria sociale" dei bocconiani,se ne è soddisfatto buon per lui,vuole imparentarsi con piercasinando? Faccia anche questo passo,ma non parli di riformismo con gli ex democristiani perchè lo stanno diventando anche loro.
E soprattutto non tiri fuori il fantasma fascista,sono da altre parti costoro,da Storace a Ciarrapico per finire a Rauti,descrivere il rischio che la politica degli zombie,la quale ha caratterizzato il paese nella cosiddetta seconda repubblica continui è un dato di fatto,altro che lo spettro fascista da parte di chi critica.
Troppo facile far paura alla gente....

Se piace la peggior opposizione mai vista nel panorama occidentale,quella che ha fatto governare per una ventina d'anni il caimano,poichè al governo riusciranno a far ridere anche i polli,come è successo nelle poche apparizioni governative.

Riusciranno a bisticciare su chi deve pagare il caffè alla bouvette.....
La strategia dello spettro fascista può solo essere uscita da una mente contorta che non ne indovina una,cambiate chi studia la propaganda che questo è scarsissimo,come sempre del resto!


Quella più paradossale

Ue ragassi,non siamo mica qui a pettinare le bambole,ci danno degli zombie e dobbiamo prepararci al ventennio dei grillofasci,dai su preparate la porchetta e le salsicce che ne abbiamo bisogno,ce le porteremo in montagna...

&& S.I. &&

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sabato 25 agosto 2012

Un estate a tutta forza di spending review




Spending review sugli aperitivi

di Michele Serra

Spiagge in bianco e nero nel Lazio. Discoteche col silenziatore in Romagna. Dimezzato il contenuto dei drink in Costa Smeralda. E il vip watching deve accontentarsi della suocera di Briatore. È l'estate ai tempi della crisi.

La crisi sta condizionando le vacanze degli italiani. Secondo gli esperti, un agosto di così basso profilo non si vedeva dal dopoguerra. Testimoni oculari assicurano che sabato scorso alcune località del litorale laziale sono improvvisamente diventate in bianco e nero. «Sembrava di essere in un film di Sergio Citti», ha raccontato, entusiasta, un cinefilo romano.

ROMAGNA Incredibilmente, le celebri pensioni della Riviera sono riuscite a ridurre ulteriormente i prezzi, già bassissimi. Venti euro al giorno per mangiare e dormire. «Spendevamo di più rimanendo a casa», spiega Miriam Zanarduzzi, casalinga. «E non è un caso», gli fa eco il marito William, «perché a casa stavamo molto meglio». Nelle discoteche più in voga, come il Poporipò e il Wayoflife, si risparmia energia elettrica abbassando il volume della musica. Dai tradizionali cento decibel, in grado di far sanguinare le orecchie e tritare alcuni organi interni, si è scesi a soli sessanta-settanta, capaci di procurare solo una banale emicrania con nausea. «Ma non abbiamo ancora ricevuto reclami», spiega il pierre del Poporipò, Wally Pally «perché i nostri clienti ormai sono completamente sordi, alcuni da molti anni, e non distinguono un'esplosione da un madrigale».

COSTA SMERALDA Perfino in Costa Smeralda si devono fare i conti con la crisi. Nelle meravigliose spiagge dove decine di belle ragazze, al tramonto, si radunano per danzare con un long-drink in mano, rovesciando sulla sabbia quasi tutto il contenuto, quest'estate i bicchieri vengono riempiti solo a metà, riducendo molto lo spreco di bevande. In tono minore anche il vip-watching a Porto Cervo, dove le folle di curiosi che fino all'anno scorso potevano sperare di avvistare sui panfili attraccati la moglie di Briatore mentre si depilava, devono accontentarsi di fotografare la suocera, signora Rosaria, mentre lavora a maglia.

CONTROMISURE In Liguria, come tradizione, si affronta la crisi aumentando a dismisura i prezzi. «Il sistema è molto semplice», spiegano all'Ente del Turismo, «se i clienti sono la metà dell'anno scorso, basta raddoppiare i prezzi e i conti tornano perfettamente». Qualche dubbio suscita però una proiezione della Regione Liguria secondo la quale, nel 2034, l'unico cliente superstite della Riviera di Ponente dovrà pagare un conto di sessantatré milioni di euro per un soggiorno di una settimana, spiaggia esclusa. Sui lidi adriatici, tra il Veneto e il Ravennate, la politica dei prezzi è opposta. Un lettino e un ombrellone, alla foce del canale Bava, accanto alle raffinerie dismesse di Acquastagna, costano appena due euro al giorno. Molto ben segnalate le sabbie mobili alle spalle dello stabilimento. Totale assenza di zanzare, sterminate dai miasmi venefici. Si paga in anticipo.

MOVIDA ECONOMICA Grande successo dei locali che offrono happy hour molto economici. Pur di non rinunciare alla tradizionale movida, migliaia di giovani romani fanno la via Pontina a piedi per raggiungere "Varechina", un chiosco a 35 chilometri da Roma che con un solo euro serve una buccia di anguria lasciata macerare in un secchio di varechina. «Si vomita esattamente come quando si è ubriachi», dicono i ragazzi entusiasti, «ma costa un decimo». Gratis il ricco buffet a base di crostoni di pane, nei giorni di traffico intenso accompagnati da spiedini di gatto. A Milano furoreggiano i parcheggi delle fabbriche dismesse, dove i giovani, convocandosi via Web, si accalcano a migliaia, dopo la mezzanotte, per danzare e battere le mani tutti insieme, portando da casa un panino alla frittata e un bottiglione di vino bianco. E' il nuovo fenomeno dell'estate e si chiama "why-party", perché dopo qualche ora i partecipanti si domandano l'un l'altro: «Ma perché siamo venuti qui?».



Dalla suocera di Briatore che lavora a maglia,alla buccia di anguria alla varechina,simpatiche fantasie poco distanti dalla realtà.

[ Kenzo ]

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venerdì 24 agosto 2012

Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti:Le due icone eterne


Seppur con un giorno di ritardo,il blog Freedom rende onore alle due vittime della discriminazione politica e sociale negli States



L'ultimo discorso di Bartolomeo Vanzetti interpretato in modo sublime da Gian Maria Volontè.



La ballata di Sacco e Vanzetti cantata da Joan Baez



Le ultime parole di Vanzetti disegnarono il futuro dei due anarchici,la storia li ricorderà sempre,essendo stati riabilitati ufficialmente il 23 agosto 1977 anche dal governatore del Massachusetts Dukakis.

Antonio Conte e i dieci mesi andati di traverso



L’ostile Juventus

di Marco Travaglio

Gentile John Elkann, Le scrivo da appassionato di calcio, ma soprattutto da juventino che aveva appena smesso di vergognarsi di esserlo dopo la dipartita di Moggi & C. grazie allo scandalo di Calciopoli. Ora, se possibile, gli juventini perbene, che hanno iniziato a tifare ai tempi di Boniperti, Trapattoni, Zoff, Scirea, Gentile, Cabrini, Tardelli, Platini, e anche di Conte, quando la società indossava un certo “stile”, sono costretti a vergognarsi ancor più di prima. Mai infatti, nemmeno negli anni bui di Calciopoli, la Juventus si era spinta a tanto: manipolava arbitri e campionati, ma non negava alla giustizia sportiva il diritto di fare il suo dovere. Oggi invece Suo cugino - il signorino Andrea, che porta il cognome francamente eccessivo degli Agnelli - ha trasformato la società in una succursale del Pdl: da mesi insulta la Federazione di cui è uno dei soci più autorevoli e demolisce le regole e le istituzioni della giustizia sportiva, quasi fossero frutto di un complotto planetario contro la Juve, decise all’insaputa del club più potente d’Italia. Ma non sempre: solo quando danno torto alla Real Casa. Se la giustizia sportiva respinge i ricorsi per riottenere gli scudetti inquinati e dunque revocati, è una congiura e scattano addirittura le denunce civili per risarcimento danni (tanto la tremebonda Figc, che per molto meno ha deferito giocatori e dirigenti di altri club, porge l’altra guancia). Se condanna Conte in primo grado e in appello - fra l’altro per vicende cui la Juve, una volta tanto, è estranea - è “caccia alle streghe” o, per dirla con Berlusconte, i giudici sono “tifosi” e “pappa e ciccia” con i testi d’accusa (ma non aveva chiesto di patteggiare su consiglio dei legali della società? S’è mai visto un innocente che patteggia?). Se invece gli juventini Bonucci e Pepe vengono assolti in entrambi i gradi di giudizio, il verdetto è sacrosanto e giustizia è fatta. Che direbbe, se fosse vivo, Gianni Agnelli? Era tutt’altro che una mammoletta. Ma quando Boniperti usava Moggi come osservatore, non lo faceva entrare in sede: l’Avvocato lo chiamava “il nostro stalliere” e mai l’avrebbe promosso non dico direttore generale, ma nemmeno magazziniere. Quando, nel 1980, la società fu coinvolta nello scandalo scommesse per un famigerato Bologna-Juve, non si ricorda una sola parola dell’Avvocato, di Boniperti giù giù fino al vicemassaggiatore, contro la Figc e i suoi organi inquirenti e giudicanti. E quando la Fiat, come quasi tutti i grandi gruppi, fu coinvolta in Tangentopoli, Gianni Agnelli si guardò bene dall’attaccare i magistrati. Anzi disse: “È bene che i magistrati lavorino serenamente e tranquillamente. Gli scandali è sempre bene che vengano a galla. Ritengo importante che si faccia piena luce e si accertino i fatti. Non credo alle mezze misure. In certe situazioni è determinante la chiarezza totale”; “Anche in Fiat si sono verificati alcuni episodi non corretti di commistione con il sistema politico. Credo sia errato e fuorviante pensare che le indagini della magistratura siano parte di un complotto o di oscure manovre politiche”. Si dirà: era pura ipocrisia. Può darsi: ma l’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù. Ora si evade anche quella. Domani inizia un campionato turbolento che, complice la crisi, potrebbe diventare teatro di violenze e intemperanze fra tifosi. Non crede, gentile Elkann, che sarebbe molto opportuna qualche parola distensiva dal club campione d’Italia, magari mutuata da quelle dell’Avvocato sui magistrati che devono “lavorare serenamente e tranquillamente”, sugli scandali che “è sempre bene che vengano a galla” senza “mezze misure”, sulle indagini e le sentenze che non sono “complotti od oscure manovre”? Se il Suo focoso cugino è in grado di pronunciarle, queste parole, tanto meglio. Altrimenti forse è il caso di metterlo in condizione di non fare altri danni alla fu Juventus. Nell’attesa, e nella speranza, che prima o poi impari come sta al mondo un Agnelli.



Il caimano ha fatto scuola,anche la giustizia sportiva è un verminaio di toghe rosse,e per di più antijuventine.
Dopo il metodo marchionne,senza sindacati s'intende,ci vorrebbe la giustizia fai da te,dove il piccolo diavolo Lecce può andare alla malora in lega Pro,ma i potenti non si toccano....
Non sono bastati i giocatori Bonucci e Pepe prosciolti,l'assoluzione doveva essere piena,sennò che far west è questo??

Tanto più che il suo mestiere lo potrà interpretare tutta la settimana durante gli allenamenti,potrà impartire ordini dalla tribuna,anche se non sarebbe consentito,ma si può aggirare in mille modi.

Gli girano le balle solo per una questione d'immagine,ma se ha deciso di patteggiare qualche settimana fa e se ne lamenta incazzato nero adesso,o ci fa? o ci è?

&& S.I. &&

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giovedì 23 agosto 2012

La grande abbuffata dirigenziale-politica-sindacale




Finmeccanica, l’ex numero uno: “Sindacati e partiti, tutti vogliono una poltrona in Cda”

Intervista all'ex presidente della compagnia Pierfrancesco Guarguaglini, indagato per false fatturazioni nell'inchiesta sugli appalti Enav, che svela: "Non c'era solo Milanese, la quota di minoranza del consiglio era lottizzata per prassi". Sulle tangenti: "A volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi cosa ne facciano, ero preoccupato che i soldi non tornassero nelle tasche dei manager"

di Giorgio Meletti

Pierfrancesco Guarguaglini, 75 anni di cui cinquanta nell’industria di Stato, poi un’uscita di scena tra i fischi. In questa calda estate da pensionato nella sua Castagneto Carducci, come si sente? “Come uno che è sempre stato onesto e qualche volta bischero”. Bischero come rafforzativo di onesto? “No, bischero come rafforzativo di bischero”.

Partiamo dalla fine. Lei viene messo alla porta il primo dicembre scorso dopo un anno e mezzo di bufera sulla Fin-meccanica. Perché non ha mollato prima?
Non avevo fatto niente.

La Finmeccanica stava tutti i giorni sui giornali, con sua moglie Marina Grossi, manager della controllata Selex Sistemi Integrati, indagata. L’azienda non ne soffriva?
L’azienda funzionava. Nel 2010 abbiamo preso ordini per 21 miliardi di euro.

Ma alla fine se n’è andato.
Mi hanno tolto la delega sulle strategie. Giuseppe Orsi, il mio successore alla presidenza, lavorava da mesi per questo obiettivo. Quando si è insediato il governo tecnico, sono andato a parlare con il sottosegretario Catricalà. Ho detto: “Mettetemi per iscritto che me ne devo andare e me ne vado”. Lui ha detto che sentiva il premier, poi mi richiama e mi dice: “Fai quello che vuoi”.

E lei ha trattato la buonuscita da 5 milioni di euro.
Erano 4 milioni, ma non ho trattato niente, quei soldi mi erano dovuti per contratto. Poi c’era un milione e mezzo per il patto di non concorrenza di un anno, e quelli eramegliosenonliprendevo,guadagnavo di più con le consulenze che ho dovuto rifiutare.

Ha ancora mercato?
Come ingegnere sono bravino.

Laureato a Pisa.
Al collegio Pacinotti, stava in piazza dei Cavalieri, di fronte alla Scuola Normale.

Piazza ben frequentata.
Mi ricordo Giuliano Amato, i fratelli Cassese, Tiziano Terzani, il matematico Giorgio Letta, padre di Enrico, Remo Bodei. Si studiava. Per vedere un po’ di ragazze andavamo a sorbirci le lezioni d’italiano di Luigi Russo. Dopo la laurea presi il Phd all’University of Pennsylvania. Poi sono andato alla Selenia.

Mai aziende private.
Ma ho sempre difeso la mia autonomia di pensiero continuando a studiare, a tenermi aggiornato. Quando alla Selenia è arrivato Michele Principe non ho accettato che si dicesse “quelli non si fanno lavorare perché sono comunisti”.

Lei è, o era, di sinistra?
No, ma ho fatto tutti gli scioperi dell’autunno caldo.

Perché lasciò la Selenia?
Le ho detto, non mi piacevano le interferenze politiche. Ricordo bene, 15 novembre 1983, mi dimisi da direttore generale. C’era Marisa Bellisario che doveva sbaraccare uno stabilimento Italtel dell’Aquila, e decisero con Gianni De Michelis di portare lì per compensazione una produzione di nostri missili Aspide. Era un’assurdità. Tutti gli altri dirigenti Selenia abbassavano la testa. Io no.

Disoccupato per tre mesi.
Poi direttore generale alla Galileo, mille persone contro 8 mila di Selenia.

All’Efim, carrozzone peggio dell’Iri. E non c’erano interferenze politiche?
Certo, ma si fermavano al capo, Sergio Ricci. Ci faceva da scudo. Anche quando ero alla Oto Melara, dentro Finmeccanica, il capo, Fabiano Fabiani, ci diceva “con i politici parlo io”. Ho sbagliato a non farlo finora, ma adesso lo ringrazio per avermi creduto nei momenti difficili.

Mentre Fabiani parlava con i politici lei parlava con Chicchi Pacini Battaglia.
Mi propose affari con il Kuwait. Ma per vendere armi in un Paese devi conoscerlo profondamente, non basta essere amico dell’ambasciatore.

Già, lei nel frattempo era diventato venditore di armi.
Difficile, con clienti che temono che a metà dell’opera scatti l’embargo. Durante la guerra del Golfo bloccammo una fornitura a Dubai, schierato contro Saddam, perché la legge italiana vieta di armare un Paese belligerante. Anche se è tuo alleato. A Dubai non ci credevano.

Per vendere armi si pagano tangenti?
Può accadere, come per qualsiasi prodotto. Io non l’ho mai fatto, mi piace essere corretto.

Un mondo di onesti?
No. Ci sono le mediazioni pagate in modo ufficiale: a volte i mediatori chiedono percentuali alte, non so poi che cosa ne facciano.

Ci sono anche i manager che chiedono indietro al mediatore, estero su estero, una parte della provvigione.
Hai voglia. La mia più grande preoccupazione è proprio che i mediatori offrano soldi indietro a chi glieli dà.

E con Pacini Battaglia che cosa avete combinato?
Nulla, né in Kuwait né altrove. In compenso finii per dieci giorni ai domiciliari per traffico d’armi. Nulla a che fare con tangenti o simile. Mi hanno intercettato che parlavo di “blindati per la Bosnia” e “navi irachene”. Gli ho spiegato che parlavo dei blindati per l’esercito italiano che operava in Bosnia, e delle famose navi vendute all’Iraq, ma già bloccate.

E Pacini Battaglia?
Mi chiamava per dirmi “si va dalla Susanna”, nel senso di Agnelli, che era ministro degli Esteri. Diceva di volermi mettere al posto di Fabiani alla Finmeccanica. Chiacchiere.

E com’è arrivato al vertice Finmeccanica?
Diversi anni dopo, mi telefonò il direttore generale del Tesoro, Domenico Siniscalco. Per essere chiaro, allora non conoscevo Gianni Letta, e neppure il livornese Altero Matteoli.

Ma lei era in quota socialista.
Battezzato socialista negli anni 80, perché ero uscito dalla Selenia, in mano ai democristiani.

In Finmeccanica c’è un gran casino o sono invenzioni dei giornali?
La verità è che la holding sta troppo in alto per vedere tutto. Con centinaia di società in giro per il mondo, per tenere tutto sotto controllo devi fidarti della squadra di manager.

E lei s’è fidato troppo?
Qualcuno mi ha detto, dopo, che si pente di non avermi raccontato certe cose. Ma con Cola sono stato bischero.

Lorenzo Cola, il faccendiere al centro delle inchieste.
Faceva il puro, mi metteva in guardia. Due volte è venuto ad accusare miei manager, con aria scandalizzata. Nulla di vero. Però lui passava per l’onestissimo. E io bischero a cascarci.

Marco Milanese, braccio destro di Tremonti, è accusato di essersi venduto le poltrone nei vostri consigli d’amministrazione.
Funzionava così: se, per esempio, i membri erano sette, quattro li nominavamo noi tra gli uomini Finmeccanica, ed esisteva un iter interno che garantiva la gestione secondo le linee concordate con la holding. Gli altri tre posti li decideva la politica.

Codice civile alla mano, dovevate nominarli tutti voi.
Ma la prassi era questa. La quota di minoranza dei consigli era lottizzata, e io nemmeno me ne occupavo, era il lavoro di Lorenzo Borgogni che si sobbarcava una laboriosa mediazione. Non c’era mica solo Milanese, c’era l’opposizione, i sindacati… Ma i manager chiave li ho sempre scelti io, senza interferenze.

E le sono rimasti grati?
Tutta la squadra aveva la maglietta “Guarguaglini”. Qualcuno ci ha messo sopra il nome del mio successore, ed è comprensibile. Qualcuno si è sfilato la mia maglietta, l’ha gettata a terra e l’ha calpestata. Debolezze.

Lei è indagato per utilizzo di false fatturazioni.
I magistrati non mi hanno mai chiamato, so solo il nome del reato. Nessuno mi ha mai contestato un fatto, non so di quali fatture si parli. Tutto quello che so l’ho letto sui giornali. Il mio avvocato ha chiesto l’archiviazione. Ho fiducia nella magistratura e aspetto.



Con un humus del genere,dirigenziale-politico-sindacale,cosa ci si può aspettare dalla giustizia e dalla meritocrazia,quando per diventare fornitori delle aziende piccole o grandi che siano,tocca tirare fuori la stecca per poter acquisire ordini.

Il marciume ha superato di gran lunga la fetta di onestà presente in tutte le categorie,non adeguarsi alla disonestà è da considerarsi quasi eroico,invece ormai si fa solo più la figura dei coglioni.

&& S.I. &&

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mercoledì 22 agosto 2012

Ormai fatica a capire l'Italia anche la stampa estera




Dialogo sulle notizie scomode

di Antonio Padellaro

Qualche giorno fa un collega della stampa estera che lavora in Italia da molti anni mi ha detto: “Ma perché il Fatto Quotidiano conduce questa campagna contro il presidente Napolitano, un galantuomo amato dagli italiani e trattato con rispetto dal resto della stampa italiana?”. Non mi ha lasciato replicare perché aveva una seconda domanda, che in realtà era già una risposta alla prima: “È vero, come si dice, che voi con Grillo, Di Pietro e forse anche la Fiom puntate alla formazione di un partito giustizialista che mira ad abbattere il governo Monti? Ma come, vi siete liberati di Berlusconi che ha sputtanato l’Italia in tutto il mondo e, ora che avete un premier che cerca di evitare all’Italia la fine della Grecia, lo attaccate in tutti i modi? Siete impazziti?”.
Ho provato a replicare che noi del Fatto non vogliamo fondare alcun partito, nè abbattere alcun governo e meno che mai il presidente della Repubblica. Siamo solo un giornale, ho detto, e i giornali degni di questo nome hanno il dovere di porre le domande al potere, anche le più scomode e irriguardose, senza fare sconti a nessuno. Del resto, ho aggiunto, non siete voi che con i vostri giornali, compreso il tuo, avete fatto dimettere due presidenti della Germania solo perché uno aveva commesso una gaffe sull’Afghanistan e l’altro per un mutuo agevolato della moglie? Però nessuno vi ha accusato di complottare contro le istituzioni, o no? Qui il collega tedesco mi ha guardato storto: “È un paragone che non regge. Quei due hanno riconosciuto le loro colpe, mentre Napolitano è la vittima”. La vittima? “Certo, non è forse vero che la Procura di Palermo lo ha intercettato illegalmente e non intende distruggere quelle telefonate?”. Ho provato a spiegare che le cose stavano molto diversamente e che i pm palermitani che cercano la verità sulla trattativa tra lo Stato e la mafia si sentono accerchiati, ma lui ha alzato le spalle: “Allora perché gli altri giornali scrivono il contrario? E poi, con le fabbriche che chiudono e i giovani senza lavoro, pensi proprio che agli italiani importi qualcosa di una storia vecchia di vent’anni?”. Stremato, ho provato a dire che le centomila firme raccolte in pochi giorni dal Fatto (oggi sono 127mila) dimostrano il contrario. Ma lui mi ha liquidato: “Come mai di queste firme ne parlate solo voi e neppure una riga sugli altri giornali? Una ragione ci sarà, no?”.
Per spiegare meglio le nostre ragioni a chi le vuole ascoltare, oggi saremo ospiti dell’Associazione della stampa estera, che ringraziamo, con il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi. Ai nostri lettori e a chi chiede verità e giustizia diamo appuntamento alla festa del Fatto alla Versi-liana dal 7 al 9 settembre. Saremo in tanti.



Se ne facciano una ragione i professionisti esteri,se il trend della libera informazione in Italia è stato da sempre pessimo,da quasi tre anni esiste una realtà che non fa sconti a nessuno,e men che mai non prende in considerazione le presunte telefonate intimidatorie da parte delle segreterie dei partiti,anche il Colle e il suo ospite dovranno spiegare certe dichiarazioni,un paese serio non deve avere zone d'ombra,e su questo piano sono decenni che siamo al buio su moltissime vicende capitate.

La ragion di Stato in democrazia dev'essere accantonata,altrimenti diventa un'altra cosa.

&& S.I. &&

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martedì 21 agosto 2012

Un pensiero ad Angelo Di Carlo




La classe operaia va (davvero) in paradiso

di Lidia Ravera

Chissà come si è sentito Bersani quando Angelo di Carlo è morto, ieri l’altro all’alba, dopo una settimana di agonia. Come si sono sentiti Susanna Camusso, e Bertinotti e Landini e Giordano… lo stesso presidente Napolitano… quelli che sono stati comunisti, che hanno pensato la classe operaia come motore della storia, i sindacalisti… quelli che il diritto al lavoro hanno la missione di difenderlo.

Il Corriere sobriamente scrive: “Dalla precarietà economica era passato alla povertà”. Un viaggio comune a tanti. Eppure un viaggio disperato. Viviamo nel tempo della Contrattazione Individuale e della Sofferenza Solitaria. Per essere visto, oggi, per protestare, per migliorare la tua condizione, non serve uno sciopero, un corteo, una manifestazione. La fabbrica ti ha espulso. Sei un effetto collaterale della crisi, uno dei tanti: 54 anni, una moglie disoccupata, un figlio a carico.

Non è una situazione estrema, la tua, è una situazione maledettamente comune. Sei un numero. Mettiti in fila. Resisti finché puoi. Se non resisti schiatti. E allora, hai ragione, è meglio andare a morirgli addosso, davanti a Montecitorio, avvolto in una lingua di fuoco, rossa. Come una bandiera. “Lavoratori di tutto il mondo rassegnatevi, da perdere avete soltanto la vostra vita”, è la triste didascalia sotto la foto.
Caro Bersani, vogliamo fare qualcosa?



Premesso che le responsabilità della fantomatica sinistra di questo paese esistono e sono evidenti,non è stata mai valida nel fare opposizione,figuriamoci quelle rare volte a governare,infatti la verifica di tutto ciò è la lunghissima e disastrosa epopea caimana,in nessuna realtà democratica evoluta avrebbe potuto realizzarsi una tragicomica del genere.

Se poi in aggiunta chi tira i fili dell'economia mondiale ha organizzato una quindicina d'anni fa,quella sciagura chiamata globalizzazione,la quale non sparge benessere a livello globale,bensì arricchisce sempre di più i soliti,e nello stesso tempo impoverisce globalmente ed ha impoverito tragicamente la vecchia Europa.

Le vittime come Angelo Di Carlo non sono un caso isolato,chi perde la testa rendendosi conto che non ha più futuro può arrivare a gesti estremi,come al contrario indirizzarsi nella possibile e mai giustificata illegalità,ma qualcosa toccherà pur fare nel sopravvivere!

Dimenticavo,da chi ha osannato le gesta di maglioncino marchionne,come risolutore della occupazione-produzione auto italiana,e si stanno vedendo i risultati,considerato che a lui e alla famiglia di riferimento interessano solo gli abbracci di Barack Obama.

Come si può notare,sempre a proposito della fantomatica sinistra italiana che non ne azzecca una....

&& S.I. &&

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Pressione fiscale italiana:Una mission impossible




La Cgia di Mestre: “In 15 anni le tasse locali sono aumentate del 114%”

La pressione fiscale degli enti locali su ogni italiano è di 1684 euro: si è passati da un importo totale di 47 miliardi del 1996 ai 102 del 2011. Il segretario dell'associazione degli artigiani: "La situazione è destinata a peggiorare con l'Imu sulla prima casa"

Lo stock delle tasse locali negli ultimi 15 anni in Italia ha toccato in assoluto l’importo record di 102 miliardi di euro, con un aumento del 114,4%. Lo ha calcolato la Cgia di Mestre, analizzando il gettito riferito alla tassazione chiesta da Regioni, Province e Comuni dal 1996 al 2011. Nell’anno di partenza dell’analisi, le tasse locali erano pari a 47,6 miliardi di euro complessivi. Su ogni italiano pesano mediamente per 1.684 euro. Una situazione, denuncia la Cgia, destinata a peggiorare nel 2012.

L’Amministrazione centrale, invece – rivela l’analisi della Cgia – ha aumentato le entrate nello stesso periodo soltanto del 9%. Se nel 1996 il gettito era di 320,9 miliardi di euro, nel 2011 l’Erario ha incassato 349,9 miliardi, mentre il Pil nazionale, sempre negli ultimi 15 anni, è cresciuto del 15,4%.

Sull’escalation delle tasse locali, comunque, il segretario della Cgia, Giuseppe Bortolussi, sottolinea che “purtroppo la situazione è destinata a peggiorare. Con l’introduzione dell’imposta municipale sulla prima casa e l’aumento registrato dalle addizionali Irpef regionali e comunali – afferma – nel 2012 le entrate in capo alle Autonomie locali sono destinate a subire un’ulteriore impennata”.

Quelle più significative applicate dalle Province sono: Imposta sulle assicurazioni Rc auto; Imposta provinciale di trascrizione (autoveicoli, camion e rimorchi); Addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica (diverso da abitazioni); Tributo provinciale per i servizi di tutela, protezione e igiene dell’ambiente. Infine, le più importanti in capo ai Comuni sono: Ici (imposta comunale sugli immobili; e l’Imu è stata introdotta nel 2012); Tarsu/Tia (la tassa sui rifiuti); addizionale comunale Irpef; tassa sull’occupazione spazi e aree pubbliche; imposta comunale sulla pubblicità e diritto sulle pubbliche affissioni; addizionale sul consumo di energia elettrica (abitazioni).

“L’aumento delle tasse locali – sottolinea Bortolussi – è il risultato del forte decentramento fiscale iniziato negli anni Novanta del secolo scorso. L’introduzione dell’Ici, dell’Irap e delle addizionali comunali e regionali Irpef hanno fatto impennare il gettito della tassazione locale che è servito a coprire le nuove funzioni e le nuove competenze che sono state trasferite alle autonomie locali”. “Non dobbiamo dimenticare che, negli ultimi 20 anni, Regioni e Comuni – conclude Bortolussi – sono diventate responsabili della gestione di settori importanti come la sanità, il sociale e il trasporto pubblico locale senza aver ricevuto un corrispondente aumento dei trasferimenti. Anzi. La situazione dei nostri conti pubblici ha costretto lo Stato centrale a ridurli progressivamente, creando non pochi problemi di bilancio a tante piccole realtà amministrative locali che si sono ‘difese’ aumentando le tasse locali”.



A Torino i controlli della finanza hanno appurato che due esercenti su tre non rilascia lo scontrino,non sarà la panacea che curerà tutti i mali italici,ma se ognuno di noi pretendesse la piccola ricevuta del pagamento,sicuramente la pressione fiscale sarebbe più bassa.

Altrimenti prendiamone atto solo per far notizia,come da decenni capita in Italia,e dire che basterebbe poter scaricare tutti i pagamenti effettuati come negli States e l'evasione fiscale cesserebbe o quasi d'esistere!

Ma le lobby politiche non permetteranno mai un provvedimento del genere.

&& S.I. &&

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Sting e gli affascinanti rubli-euro di Putin


Message in a bottle alla Putin



La triste fine di Sting Da “Russians” ai rubli

di Andrea Scanzi

Chissà se, nella dépendance del Centro Anziani Extra-lusso in Costa Smeralda, Sting ha cantato anche “Russians”. Gordon Matthew Thomas Sumner, 61 anni. “Pungiglione” prima dei Police e poi di se stesso. Era 27 anni fa. “In Europa e in America, c’è un crescendo d’isteria/ Condizionato in risposta alle minacce/ Dei retorici discorsi dei Sovietici/ Il sig. Krushchev ha detto vogliamo seppellirti/ Io non sottoscrivo questo punto di vista”. Finale tra l’enfatico e il retorico, in stile Rocky IV (che usciva quello stesso anno, 1985): “Condividiamo la stessa biologia/ A dispetto dell’ideologia/ La cosa che può salvare noi, me e te/ È che anche i Russi amino i loro bambini”. Adesso è noto che, oltre a biologia e ideologia, Sting condivida con certi russians anche il portafogli. Da una parte solidarizza tramite Amnesty International con le Pussy Riots, dall’altra accetta il denaro di chi quei ribelli li spedisce in galera. Forse sperava di non essere scoperto. Di sicuro ha cantato per festeggiare gli 80 anni della sorella di Putin. Ospite del magnate di Gazprom Alisher Usmanov. Prelevato con l’aereo personale. Costo della festa, blindatissima: un milione e mezzo di euro. Cachet per Sting: 500mila euro.
SECONDO L’Unione Sarda, che ha dato cifre e notizia, tra gli ospiti figurava Silvio Berlusconi. Età media 70 anni, difficile immaginare scene di giubilo per “Message in a Bottle”. Da paladino dei deboli a Mariano Apicella magro, espressione massima della star “impegnata” che di fronte ai soldi non si pone scrupoli morali: il web non poteva non insorgere. “Tutti idealisti fino a quando non conviene”, “Dalle giuste cause alle ospitate per super-ricchi”, “Una volta era una rockstar. Ora, il cantante di piano bar più pagato al mondo”, “#Sting in Sardegna al compleanno della sorella di #Putin. Spettatore il nostro B. Putunia non olet”. Deluso anche Francesco Baccini, che sulla bacheca Facebook ha scritto: “Sting fa appello in favore delle Pussy Riots poi va a suonare al compleanno della sorella di un faccendiere di Putin per mezzo milione di euro...... evviva la musica...ahahahaahah”.
Forse al Pungiglione non bastavano i 32 castelli che ha, parafrasando Fo e Jannacci. O forse doveva ristrutturare la villa Il Palagio a Figline Valdarno. La polemica sulla sua incoerenza politica non è comunque inedita . Nell’ottobre scorso ha suonato al Festival di Tashkent, Uzbekistan, organizzato dalla figlia del dittatore Islam Karimov: quell’evento, a cui parteciparono anche Morricone e Ramazzotti, sarebbe stato strumento di consenso a uno dei regimi più efferati del mondo.
Lo slittamento da rockstar a stornellatore della Putin Family è però un contrappasso peggiore. I tanti cantautori di sinistra, che per soldi si esibivano alle feste della fu Alleanza Nazionale, in confronto paiono mostri di virtù. Qualcosa di simile capitò a Cala di Volpe, ancora Costa Smeralda, nel 2007.
PROTAGONISTA Zucchero. C’era già stato l’anno precedente. Festa da ricchi, cachet milionario, pubblico caciarone. Il cantante inveì su una signora russa (sempre loro) che mandava “gli sms al suo amorino”. Daniela Santanchè, presente alla festa, si piccò assai. Fu una cascata alcolica di “baraccone, troione, bagascione, catamarano, lavandino”. Poi, come nulla fosse, Zucchero riprese a suonare. Scena esilarante, a suo modo. Lo Sting putiniano, invece, mette solo malinconia. Come ha scritto qualcuno in Rete, lo preferivamo quando millantava di copulare per ore grazie al sesso tantrico. Una bugia. Pure quella.
autorità britanniche a estradarlo in Svezia. Posizione ammorbidita, ma non modificata.



Pizzicato,direi volutamente con le dita nella marmellata,perlomeno fosse stato in un momento di disagio economico avrebbe smorzato lievemente la gaffe,ma con tutte le proprietà elencate,non penso che sia stata l'ultima Imu di Monti ad averlo messo in difficoltà.

E dire che basterebbe pochino per continuare un certo stile e una continuità intellettuale su ciò che si è contestato in passato,ma lo stile non è una qualità che s'inventa dall'oggi al domani,fa parte di se stessi fin dalla nascita,con qualche perfezionamento nel corso della vita.

&& S.I. &&

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lunedì 20 agosto 2012

Ilva Taranto:Come Porto Marghera tante parole e il nulla di fatto




Ilva, il Riesame: “L’inquinamento fu una scelta voluta dall’azienda”

Il tribunale della Libertà parla di "alta potenzialità distruttiva dell’ambiente" e "pericolo per un numero indeterminato di persone". Un "disastro" eliminabile solo con "misure imponenti". Secondo i giudici i gruppi dirigenti “hanno continuato a produrre massicciamente nell'inosservanza delle norme di sicurezza". Ma precisano: "Lo spegnimento è solo un'opzione". Clini: "Linea convergente con il governo".

di Francesco Casula

Conferma su tutta la linea della decisione del gip di Taranto Patrizia Todisco e, quindi, nessuna possibilità di utilizzo degli impianti a cui sono stati posti i sigilli. La pronuncia dei magistrati non lascia molto spazio alla discussione. Secondo i giudici le modalità di gestione dell’Ilva sono state tali da produrre un “disastro doloso”, “azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell’ambiente (…), tale da provocare un effettivo pericolo per l’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone”. Un disastro “determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti”. Il Tribunale del Riesame ha depositato stamani le motivazioni in base alle quali il 7 agosto ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell’Ilva. Confermato il sequestro degli impianti a caldo dell’Ilva senza concedere la facoltà d’uso, che peraltro – viene sottolineato – non era stato richiesto neppure dai legali del Siderurgico. Il Riesame dispone che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare.

Un disastro ambientale doloso “ancora in atto”, secondo il Riesame, che “potrà essere rimosso solo con imponenti e onerose misure d’intervento, la cui adozione, non più procrastinabile, porterà all’eliminazione del danno in atto e delle ulteriori conseguenze dannose del reato in tempi molto lunghi”. L’Ilva – secondo il tribunale del Riesame – deve, da un lato, eliminare “la fonte delle emissioni inquinanti (con la rimodulazione dei volumi di produzione e della forza occupazionale)”, dall’altro “provvedere al mantenimento dell’attività produttiva dello stabilimento”, solo dopo averla resa “compatibile” con ambiente e salute. Un intervento ineludibile e urgente, per i magistrati, nel quale è “opportuno e necessario” il coinvolgimento dei vertici aziendali “proprio per la complessità nella scelta e nell’adozione delle misure tecniche che portino al raggiungimento dello scopo cui il sequestro è rivolto”.

Il Riesame ribadisce comunque che dallo spegnimento degli impianti Ilva, da cui potrebbe derivare la “compromissione irrimediabile della funzionalità”, discendono “importanti ricadute” che vanno ad intaccare interessi, pure costituzionalmente rilevanti, quali la “tutela d’impresa produttiva” e “tutela dell’occupazione di mano d’opera”.

Clini: “Dai giudici la stessa linea del governo”. Per il ministro dell’Ambiente Corrado Clini la motivazione del Tribunale del Riesame è molto chiara: indica una strada convergente con quella seguita dal governo. Lavoriamo concretamente nella stessa direzione, ora spetta ad Ilva investire”. ”Oggi difendere l’ambiente vuol dire difenderlo con lo sviluppo tecnologico – aggiunge Clini – Difenderlo facendo e non bloccando. Difendere bloccando vuol dire bloccare lo sviluppo del Paese aprendo la strada a fenomeni sociali che sarebbero drammatici”.

L'intero articolo

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Come afferma il Dottor Guariniello,mai alcuna azienda è stata fatta chiudere,pur se sono state appurate gravissime responsabilità,e sul complesso siderurgico di Taranto non ci sono dubbi sulla nocività indotta ai lavoratori e agli abitanti della città.
Tutto è rimasto sotto silenzio,dalla politica per arrivare alla magistratura nei vari decenni trascorsi,non hanno mai obbligato la società agli investimenti sulla protezione tossica determinata dagli impianti,e per citare un altro famoso professionista in materia,Felice Casson su Porto Marghera ci furono alcune condanne e moltissime prescrizioni.

La storia si ripete,eccome si ripete,c'è chi si arricchisce e c'è chi si ammala e muore....

&& S.I. &&

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Strage di minatori in Sudafrica

Abbattuti dai poliziotti



La nuova apartheid è la lotta di classe

SUDAFRICA, LA STRAGE DELLA POLIZIA (34 MORTI) RIACCENDE TENSIONI SOCIALI TRA RICCHI E POVERI

di Andrea Valdambrini

Già dalla mattina dopo il massacro, sulla piana di Marinaka sono tornate le donne. Vedove, madri disperate per la morte dei loro cari, ansiose per la sorte dei feriti di cui si sono perse le tracce. La strage alla miniera di platino della Lonmin di tre giorni fa verrà ricordata come la più grave nella storia della storia del Sudafrica post-apartheid. I morti sono 34, i feriti 78 e 200 i fermati. Una tragedia che coinvolge i sindacati e la polizia, che ha sparato sui manifestanti, e rimette in discussione la convivenza pacifica tra bianchi e neri. E su cui non può non intervenire il presidente Jacob Zuma, che si è detto “profondamente rattristato” ed ha promesso una commissione d’inchiesta.
Sono seguite altre manifestazioni di protesta. Un gruppo di circa cento persone hanno gridato, agitato bastoni e danzato al ritmo del toyi toyi, una danza che richiama direttamente alla memoria la lotta contro la discriminazione dei neri. Denunciano di non avere notizie dei familiari: “La polizia non ci ha dato un elenco dei nomi dei 34 morti”. Uno striscione recita: “Smettetela di sparare sui nostri mariti e figli”, un altro prende di mira direttamente il capo della polizia Riah Phyiega: “Festeggi il tuo posto con il sangue delle nostre famiglie”.
ALLA MINIERA di Marinaka, situata più di cento chilometri a nord est di Johannesburg, queste donne sono spesso arrivate al seguito dei loro mariti non solo dalla provincia del Capo, ma anche da Paesi confinanti e poverissimi come Zimbabwe, Lesotho e Swaziland. Molte di queste famiglie vivono nel vicino insediamento di Nkanini, dove l’acqua corrente e l’igiene sono un miraggio. La loro condizione di bisogno è uno dei motivi alla base di questa assurda tragedia.
La miniera è di proprietà della britannica Lonmin, terzo estrattore ed esportatore mondiale di platino, ma il salario medio dei chi scava nella roccia si aggira intorno ai 40000 rand, l’equivalente di 400 euro.
Non abbastanza per un lavoro massacrante come questo, secondo i sindacati, che infatti avevano indetto un periodo di sciopero. Eppure non tutti si sono trovati d’accordo nel sostenere le lotte dei lavoratori. Da un lato la National Union of Mineworkers (Num) vicina all’African National Congress al governo, venuta presto a patti con Lonmin. Dall’altro la più radicale Mineworkers and Construction Union (Amcu), che facendo leva sulla corruzione dilagante del Num ha finito con il proclamare uno sciopero illegale la scorsa settimana, avanzando la richiesta per la triplicazione dei salari. La combattiva Amnu non è in realtà che una costola di sinistra della stessa Num, alleato chiave dell’African National Congress. Ma mentre nel partito d governo si discute sull’opportunità di nazionalizzare le miniere, proprio il maggior sindacato dei minatori si oppone. Semplice allora per i rivali dell’Amcu organizzare i lavoratori inferociti. Poi durante gli scioperi scoppia spesso la rabbia. È possibile che tutto questo accada in un Paese che pretende di essere una democrazia? In altre parole, dove va il Sudafrica oggi? I fantasmi della discriminazione razziale, dell’emarginazione di classe non sono in realtà mai stati dissolti: le ricorrenti esplosioni di violenza di cui Marinaka è solo l’ultimo, terribile, esempio, ne sono la dimostrazione.
Solo due mesi fa un tribunale di Pretoria condannava per eversione Mike Du Toik, afrikaner e leader del gruppo suprematista bianco Boermag, reo di aver piazzato, nel presidente della transizione al Sudafrica moderno, a descrivere il male profondo del suo Paese e a lanciare un pesante atto d’accusa. Dopo Nelson Mandela, ha detto, si è fatta strada una classe dirigente, quella incarnata da Zuma, che ha avvelenato di 2002, 9 bombe a Soweto con lo scopo di attentare alla vita di Nelson Mandela. Si è trattato della prima condanna di questa gravità contro un bianco dal 1994.
IL CASO di Eugène Terre Blanche, politico razzista ucciso nel 2010, si era chiuso in primavera con la contestatissima condanna di un suo collaboratore nero.
È stato però il grande vecchio, il Frederik De Klerk, premio nobel per la pace e nuovo il clima soffiando sulle tensioni razziali. Così, secondo De Klerk, se ne è andato lo spirito di riconciliazione nazionale che ha retto quel Sudafrica ansioso di lasciare l’apartheid e l’odio razziale dietro di sé.



Una forma di razionalizzazione della protesta assolutamente democratica...Chissà cosa sarebbe successo ai tempi dell'apartheid,anche se con una mattanza del genere pare che non sia cambiata di molto la situazione,con o senza Mandela i lavoratori di colore sono considerati carne da macello.

&& S.I. &&

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domenica 19 agosto 2012

Russia:Le Pussy Riot e il carcere di Putin

pussy riot

di Lidia Ravera

Una bellissima e due molto carine. Giovani tutte e tre. Spiritose. Tre bei sorrisi vitali e appena appena strafottenti. Cantano in chiesa: Madonna, liberaci di Putin, le Pussy Riot. Cantano punk. Cantano con i graziosi musetti incappucciati. Soltanto gli occhi fuori, coperti i connotati. Le Pussy sono consapevoli di vivere in un Paese illiberale e allora: Riot! Cantano, ma la Madonna non le libera da Putin. Anzi, glielo fa incontrare: “Salve, siamo Nadezhda, Ekaterina e Marja, vorremmo vivere in un Paese libero”. “Piacere, Vladimir Putin: posso offrirvi due anni di galera?”.
Le ragazze incassano senza perdere quella loro sfrontata allegria antagonista. Le galere russe non sono luoghi decorosi. Non ti va di immaginarci le tue figlie. L’Occidente, a cui la Russia post comunista vorrebbe assomigliare, protesta compatto. Lo show business organizza un sostegno rutilante. Madonna, Paul Mc Cartney… roba grossa. Putin cambia politica? Smussa il suo ruvido comportamento liberticida? Si ammorbidisce? Abbozza? Ride? In fondo sono solo canzonette, mica kalashnikov nelle mani dei Ceceni… E, dai, Putin, cazzo! Ti stai coprendo di ridicolo! Non ti consiglia l’amico Berlusconi di lasciar perdere e, semmai, di invitare le tre belle ragazze nella tavernetta del Kremlino per farci quattro salti? Un bravo aspirante capitalista occidentale alle Pussy sa proporre una pena alternativa, per esempio Bunga Bunga forzati. Ma Putin, nel ramo porno soft di potere, è un apprendista. Non sa ancora suonare tutte le corde della “moral suasion”. Perciò esagera. Conferma la condanna. Rinforza le manette. Chiude la gabbia. Forse la paura è troppo forte. Che si estenda la protesta dei giovani contro il regime. La sua paura. La nostra speranza.





Punirne tre in modo esemplare per educarne molti altri,anche se dopo la sbronza post-comunista,con un surrogato democratico che va dalle elezioni politiche controllate a potete tutti arricchirvi,sino ad ora la formuletta ha tenuto,ma ci vorrà ben altro per tenere a bada milioni di persone con le briciole per i più, e i pochi ricchi sfondati,è solo questione di tempo.

&& S.I. &&

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Antonio Ingroia ribadisce la correttezza delle intercettazioni




“Abbiamo avuto di recente conforto e sostegno nell’intervento del presidente emerito della Corte Costituzionale Zagrebelsky che è un profondo conoscitore del diritto e della Costituzione e che ci ha dato ragione”. Così Antonio Ingroia torna sulla critica avanzata da Monti sul settimanale Tempi. Frasi, quelle del premier, che hanno fatto ripartire la polemica sulla necessità di regolamentare le intercettazioni. Ieri anche l’Associazione nazionale magistrati ha risposto a Monti. E ora il procuratore aggiunto di Palermo torna sull’argomento: “Il riferimento a noi e all’attività della procura di Palermo – dice il procuratore aggiunto di Palermo in un’intervista a Sky Tg24 – è un po’ ingeneroso. Se si è arrivati a questo punto “è perché il Parlamento non ha legiferato, benché vent’anni fa si fosse registrato un caso di vuoto amministrativo. Di fronte a ciò – afferma il pm – i magistrati altro non possono fare se non applicare la legge così com’è. La politica ancora una volta è stata inerte”.

“Il conflitto di attribuzione – afferma – è uno strumento che legittimamente il Capo dello Stato ha scelto per trovare una soluzione diciamo superiore, che la Corte Costituzionale potrà fare, su un punto che è oggetto di controversia”. Ma “per la verità – aggiunge – si è arrivati a questo punto poiché il Parlamento non ha legiferato benché già 20 anni fa il ministro Flick, in un caso analogo in cui era stato accidentalmente intercettato il presidente della Repubblica Scalfaro, aveva registrato un vuoto legislativo”. E di fronte a questo vuoto, sottolinea Ingroia, “i magistrati non possono far altro che applicare la legge così come è”.

Parole che scatenano di nuovo la reazione di esponenti Pdl: ”La straripante polemica sviluppata da Ingroia e dagli ambienti politici e giornalistici a lui legati e poi l’attacco dell’Anm a Monti mettono in evidenza che ci troviamo di fronte ad uno straripamento da parte di settori della magistratura”. Lo dice il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto. Sull’operato dei pm si registra oggi l’attacco di Eugenio Scalfari dalle colonne di Repubblica: “Ci sarebbero da esaminare – scrive il giornalista – i risultati delle inchieste che da vent’anni si svolgono a Palermo e Caltanissetta e che finora hanno dato assai magri risultati”. E l’ex ministro della cultura Sandro Bondi lo sostiene: “Le opinioni di Berlusconi sostenute da una penna potente”.



Mi auguro che trovi pace e serenità in Guatemala,come molti sanno compiere il proprio dovere in Italia e in certi casi non va bene,se si indaga su ladri di polli o poco più tutto fila liscio,al contrario se si rompono gli zebedei ai potenti tutto inizia a ingarbugliarsi.

Come del resto informare senza se e senza ma,le ire dei vassalli e valvassori accorrono al potente di turno,altrimenti il ricambio dei servigi passa ad altra mano....

&& S.I. &&

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venerdì 17 agosto 2012

Lei non sa chi sono io!





Acqua azzurra

di Massimo Gramellini

Sloggiati a forza dalle calette proibite della Maddalena, i possidenti di megayacht reagiscono con accenti che mescolano lo stupore all’arroganza, minacciando di non tornare mai più in Sardegna. Sono oligarchi russi, principi tedeschi, evasori italiani. Vorrei li accompagnasse il mio personale augurio di buon viaggio. Vadano a inquinare le coste croate, francesi o lillipuziane: qui da qualche tempo si cerca di diventare un Paese povero ma serio. È il risvolto ironico di questa estate deprimente. Finché eravamo la patria dei finti divieti e degli scontrini fantasma, il mondo degli ultraricchi ci frequentava disprezzandoci. Adesso che cominciamo a pretendere il rispetto delle regole, i moralisti di ieri si indignano per l’inaudito capovolgimento del luogo comune che ci vuole accomodanti e servili. E usano l’unica arma a loro disposizione, i soldi. Così ogni slancio di pulizia viene sottoposto al ricatto economico, che purtroppo la crisi rende particolarmente efficace.

In effetti avremmo potuto scegliere un momento più propizio per redimerci, ma abbiamo accumulato ritardi ventennali e, come tutti i ritardatari, ci tocca fare i compiti all’ultimo minuto. Siamo a metà del guado: non abbiamo più i vantaggi che garantiva l’illegalità e non intravediamo ancora quelli che verranno dall’onestà. Ora, delle due l’una. O torniamo indietro e ci perdiamo per sempre. Oppure andiamo avanti, fino a quando cominceremo ad assomigliare a quello che da sempre dovremmo essere: un paradiso da contemplare e non da usare.



Me lo auguro il suo augurio,ma sarà dura scrollarsi di dosso il "lei non sa chi sono io",l'ostentazione della ricchezza sudata o frodata che sia.Ma quando le regole vengono invocate dal popolo o dal popolino,non se ne sono preoccupati alcuni secoli fa durante la rivoluzione francese,non rotoleranno più teste ma un pò di giustizia sociale,forse quella si!

&& S.I. &&

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